Salvando la plastica dal mare e viceversa, parte due. La chiamata di PATAGONIA EU ! il marchio a cui mi sono sempre ispirata.

C’è chi viaggia lontano e chi fa della sua vita quotidiana un viaggio fatto di piccole scoperte e piccoli traguardi. Gli anni del post Covid-19 sono stata ferma, ‘senza viaggiare‘, nella cittadina costiera di Anzio, in provincia di Roma. Durante questi anni ho messo radici, acquistando una casa fronte mare ed investendo in un bel laboratorio casalingo per Fede Surfbags. Da che portavo avanti un brand internazionale da casa o da remoto in qualche paradiso del surf, ho acquistato macchine industriali e assoldato una sarta locale per le mie piccole produzioni annuali. Il tempo libero lo passavo sempre in acqua o in spiaggia e proprio qui ho incontrato il mio compagno di vita. Insomma Anzio è diventata casa a tutti gli effetti.

In questa fase della vita, ho fatto grossi investimenti e mi sono impegnata davvero per far si che il mio brand crescesse ma in maniera sostenibile. Però le mie risorse materiali e mentali non sono state sufficienti e la competizione dei grossi marchi è stata letale. Vi spiego il perché. Una piccola produzione non può competere con i costi dei prodotti di un grande marchio. Basti solo pensare agli accordi differenti di un piccolo e di un grande imprenditore verso un fornitore di materia prima. Quindi, ogni volta che ricevevo un feedback negativo sul prezzo dei miei prodotti sapevo che o il mio marchio sarebbe finito o la mia etica sarebbe stata fatta a pezzetti. Così, ho scelto di lasciare andare il mio marchio, non volendo produrre le mie cose all’estero o in grandi quantità.

Nonostante tutto, il mio marchio era nato con l’intento del riciclo e di produrre solo quello che era necessario. Le mie produzioni erano infatti made-to-order e il più delle volte creavo prodotti personalizzati. Ma nel 2024, ho scoperto qualcosa in più sulla motivazione del perché volevo lasciare andare Fede Surfbags. Ero stufa della costante pressione che dovevo fare verso i miei clienti, insinuando che avessero bisogno di questo o di quello per stare bene al mare. Anche se sapevo che i miei prodotti valevano quello che dicevo, non volevo insinuare dei bisogni nella mente altrui. E sapevo che stavo mentendo, perché al mare si entra a piedi nudi e non è necessario null’altro per stare bene.

Così contro ogni previsione e logica di mercato, ho deciso di dedicarmi a dei progetti collaterali di riciclo anche se fortemente sconsigliato dai miei collaboratori. A seconda di quanto dicevano loro, io dovevo mettere da parte la mia creatività e concentrami a produrre solo sacche da surf e sempre le stesse per creare una visione coerente del marchio e crescere. Ed effettivamente questo ha funzionato per un po’, anche se fremevo sempre nel voler creare qualcosa di nuovo. Ma un giorno mi arriva una mail dal famoso brand Patagonia! un’ impiegata del noto marchio mi contatta, dicendomi che vuole mandarmi dei campioni di vecchi banner pubblicitari per farmi creare qualcosa con questi per loro, Patagonia! 🙂 Questa è stata la spinta in più, per proseguire nella direzione un po’ sofferta che avevo scelto di intraprendere.

Dicono che noi siamo artefici del nostro destino e guidiamo con le nostre azioni la vita personale. Cosi, i vecchi banner pubblicitari di Patagonia mi hanno spinta a creare un prodotto, che da tempo stavo immaginando. Volevo realizzare un piccolo materassino per surfisti, dove poggiare i piedi per infilare la muta o toglierla. Da un lato volevo usare un materiale plastico lavabile, che sarebbe stata la parte da mettere a terra e dall’altro un materiale morbido e spugnoso che nel contempo asciugasse e tenesse i piedi al caldo, isolati dal terreno. Così, una volta ricevuti i vecchi banner pubblicitari da Patagonia mi sono messa a costruire il prototipo del ‘Change mat‘, così lo avevo chiamato.

Questo materassino aveva inoltre la funzione aggiuntiva di contenere e trasportare la muta e gli oggetti umidi. Il design della parte spugnosa, realizzata con scarti della produzione dei miei surf poncho, era un TAO. Questo simbolo rappresentava il fatto che nonostante tutto, anche un brand come Patagonia che si impegnava costantemente nella tutela dell’ambiente, causava esso stesso dei problemi ambientali nella sua stessa produzione. Il prototipo non è stato mandato in produzione, in quanto il materiale di cui era fatto il banner non resisteva all’acqua salata e si sbriciolava in tanti pezzi. Quindi optarono per la creazione di prodotti usa e getta per riciclare internamente i loro banner pubblicitari. E invece a me venne in mente di sostituire il banner con i giocattoli gonfiabili che avevo raccolto in spiaggia dopo l’estate.

Il mio desiderio più grande di questo prodotto creato, non era la produzione o la vendita ma di mostrare al pubblico che anche con il materiale che noi buttiamo si può creare qualcosa, qualcosa di bello che si avvicina all’arte. Per questo motivo ho sponsorizzato questo prodotto anche a livello locale, qui ad Anzio. Il giornale locale, Il Granchio, ha pubblicato questo bellissimo articolo qui, che mi ha portato molti contatti da persone locali che in qualche modo raccoglievano la plastica dal mare ed una in particolare mi ha portato alla prossima creazione. Come dice il maestro Bruno Munari ‘da cosa nasce cosa‘. SEGUE

 

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